Apollo e Dafne di Piero del Pollaiuolo
Piero del Pollaiuolo, Apollo e Dafne, circa 1470 – 1480, olio su tavola, 29,5 x 20 cm. Londra, National Gallery
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Approfondimento. Apollo e Dafne: un mito che attraversa i tempi
“Daphne primus amor Phoebi fuit”: così ci racconta Ovidio, nel celebre passo delle Metamorfosi dedicato al mito di Apollo e Dafne.
La leggenda narra che Apollo si fosse vantato eccessivamente con Cupido (che a suo parere non era poi così abile con arco e frecce) di aver ucciso da solo il mostruoso Pitone; il piccolo Dio si innervosì, al punto di volersi vendicare e gli rispose per le rime: “Tutte le cose, o Apollo, trapassa il tuo arco, ma il mio arco trapasserà il tuo cuore“. Allora Cupido si fermò sull’ombrosa cima del Parnaso e dalla faretra estrasse due frecce: l’una scaccia, l’altra suscita amore” E così lo fece innamorare di Dafne, una naiade, figlia del dio-fiume Peneo. La giovane cacciatrice, che si era votata a Diana, per cui aveva giurato di restare sempre vergine, venne al contrario colpita da una freccia di piombo, capace invece di farla rifuggire da qualsiasi innamoramento.
Visto che Apollo ardeva d’amore per lei e desiderava possederla, la fanciulla cominciò a correre, pur di non finire nelle sue grinfie. Dopo un’estenuante corsa, nei pressi del fiume-padre, ella pregò di esser tramutata in albero piuttosto che finire catturata dal dio. Peneo esaudì il suo desiderio e la tramutò in pianta d’alloro. Apollo, disperato, decise però di consacrarla come pianta sempreverde e dedicata al suo culto: in seguito, vincitori, condottieri e poeti avrebbero fatto lo stesso…e oggi, anche i giovani laureati si circondano il capo con la famosa corona dall’alloro.
Il mito di Apollo e Dafne nel tempo
Ma se tutti conosciamo la rappresentazione scultorea del mito operata magistralmente da Bernini, diventa interessante provare a fare un viaggio attraverso i secoli, alla ricerca di rappresentazioni meno famose, ma ugualmente significative.
Entriamo nel magnifico Museo Archeologico di Napoli: qui è stato riportato l’affresco del triclinio della villa di Marcus Lucretius, databile 69-79 d.C. L’affresco raffigura il momento in cui la fanciulla si sente quasi mancare, dopo l’estenuante fuga e alza la mano destra, come a supplicare pietà. Forse qui ci si rifà ad una tradizione secondaria, secondo cui la ninfa, anziché chiedere aiuto al padre Peneo, abbia invocato la madre, la Tellus. Anche di questo mito, si fa breve cenno in Ovidio ( I, 544-545).
Facciamo ora un balzo in avanti nel tempo: attorno al 1480 il Pollaiolo realizza su tavola la stessa scena. Solo che Apollo è biondo ed indossa abiti del tempo. Dafne appare come una dama quattrocentesca, ma la trasformazione delle braccia in rami d’alloro e della sua gamba sinistra in radice ci permette di identificare il mito. I corpi sembrano fusi in una danza, quasi a costituire un unicum. L’opera è conservata alla National Gallery di Londra.
Tiepolo, invece, all’eleganza del marmo di Bernini preferì utilizzare colori accesi, ponendo in contrasto tra di loro colori caldi e freddi. Inserisce però nella tela anche Peneo e Cupido, per rendere il tutto ancora più dinamico. La ninfa è colta all’inizio della metamorfosi e la sua nudità ne esalta ancor di più la sua femminilità.
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Bibliografia
- Aldo Galli, I Pollaiolo, Milano, 5 Continents Editions, collana “Galleria delle arti” n.7, 2005, ISBN: 978-88-7439-115-8
- A. Galli, A. Di Lorenzo (a cura di), Antonio e Piero del Pollaiolo. «Nell’argento e nell’oro, in pittura e nel bronzo», Skira, 2014, ISBN-10 : 8857225054 ISBN-13 : 978-8857225050
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La data dell’ultimo aggiornamento della scheda è: 20 luglio 2022.
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