Il Body painting è una pratica utilizzata dall’umanità fin dalle origini delle più antiche civiltà che oggi è diventata una forma di espressione molto diffusa.
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Max Factor e l’origine del body painting
Maksymilian Faktorowicz, meglio conosciuto come Max Factor, è considerato il padre assoluto dei make up artist e del body painting. Nato in Polonia e proveniente da una famiglia di origine ebraica, Max Factor trascorse la sua infanzia in una situazione economica precaria. Per questo motivo a soli 9 anni iniziò a lavorare come apprendista presso un parrucchiere. Continuò a lavorare come parrucchiere, occupandosi anche di estetica, fino all’età di diciotto anni. Infatti a quell’età fu chiamato al servizio militare dal momento che all’epoca c’era la leva obbligatoria.
Successivamente nel 1899 Max Factor aprì il suo primo negozio di estetica. Lì vendeva molteplici prodotti tra cui parrucche, creme, profumi e rossetti. Dopo essersi trasferito con la famiglia a Los Angeles, esordì nel mondo del cinema come rifornitore di parrucche. Ben presto si accorse che il cerone usato sul viso delle attrici aveva una pessima resa e che rendeva i volti troppo bianchi. Si mise quindi al lavoro per realizzare nuovi cosmetici adatti al mondo del cinema. Inventò, così, il cerone flexible, un fondotinta a lunga tenuta con effetto naturale. Con l’invenzione di questo particolare fondotinta e di molti altri prodotti, Factor divenne il primo truccatore a rivoluzionare il mondo del cinema.
Nel 1933 Max Factor truccò interamente una modella con un nuovo cosmetico da lui formulato e la espose alla Fiera Mondiale di Chicago. Le forze dell’ordine arrestarono sia Max Factor che la modella per disturbo alla quiete pubblica. Nonostante ciò, è proprio questa la data a cui si fa risalire l’origine del body painting moderno.
La musa del Body painting nel fashion system
Veruschka è una delle modelle più famose della storia. Il suo vero nome è Vera Gottliebe Anna von Lehndorff-Steinort ed è nata Königsberg nel 1939 da una nobile famiglia prussiana. La sua è una storia difficile e travagliata che inizia con la morte di suo padre. L’uomo, infatti, aveva preso parte al fallito attentato ad Hitler e per questo morì fucilato. Separate dalla madre, Vera e le sue sorelle furono portate in un campo di lavoro insieme ai figli degli altri congiurati.
Vera studiò arte ad Amburgo e a Firenze. È proprio a Firenze che il fotografo Ugo Mulas la notò e la lanciò come modella. Lavorò a Parigi e a New York dove però non riscosse molto successo. Difatti erano gli anni ’60, periodo in cui i canoni di bellezza stavano cambiando. Si ricercavano corpi filiformi e l’attenzione si era spostata dalla bocca agli occhi. Ma lei era un eccesso in ogni sua parte: magrissima, gambe lunghe, capelli biondi interminabili e soprattutto il numero 44 di piede. Per Vera era impossibile indossare scarpe femminili, così decise di sottoporsi ad una dolorosa operazione per renderli più corti.
La top model Veruschka
La svolta nella sua carriera avvenne quando decise di tornare a Monaco di Baviera, dove si dichiarò russa per aggiungere un alone di fascino e mistero alla sua figura. Proprio per questo motivo scelse Veruschka come nome d’arte. Da quel momento in avanti divenne sempre più famosa fino ad essere riconosciuta come una delle prime e più importanti modelle di quegli anni. Il termine top model nasce con lei.
Una presenza molto importante nella sua vita fu il fotografo Franco Rubartelli, suo compagno di vita e di lavoro per alcuni anni. Veruschka fu anche attrice e recitò nel film Blow Up di Michelangelo Antonioni e in Salomè di Carmelo Bene.
Inoltre in quel periodo iniziò anche a sperimentare con il body painting, forma artistica che ha poi portato avanti nel tempo. Celebri sono diventate le sue performance camaleontiche nelle quali, dipingendosi il corpo, si mimetizza con gli elementi della natura o con gli sfondi davanti ai quali si fa fotografare. Infatti la stampa l’ha soprannominata “camaleonte psichedelico”.
Dal 1975 Veruschka ha smesso di sfilare per dedicarsi alla fotografia, alla pittura e al cinema.
Yves Klein, Body painting e arte
Yves Klein è un artista francese precursore della body art. Influenzato dagli studi orientali, si avvicinò alle arti marziali e successivamente alla pittura grazie all’amicizia con Claude e Arman Pascal. Nel 1947 compose la sua prima Symphonie monoton, ovvero un’opera musicale formata dalla ripetizione di un’unica nota.
Successivamente scoprì il valore simbolico del colore puro iniziando a dipingere opere monocromatiche. In sette anni ne realizzò più di mille usando i pigmenti puri affinché il colore rimanesse luminoso. Per queste opere utilizzò uno speciale fissativo chiamato Rhodopas che, secondo l’artista, faceva acquistare al colore una vita propria. Dopodiché scelse di concentrarsi su un unico colore: il blu. Così nel 1956 creò la tonalità di blu perfetta: un blu oltremare saturo, luminoso e privo di alterazioni che chiamò Intenational Klein Blue.
Le Antropometrie di Yves Klein
In seguito Klein realizzò delle opere dette Antropometrie. Le modelle sotto la direzione dell’artista diventavano dei veri e propri pennelli viventi e, dopo essersi intinte nel colore blu, si stendevano sulle tele. Le tracce da loro lasciate venivano definite da lui “tracce di vita”. Inoltre, Klein, mentre realizzava le Antropometrie, metteva in scena dei veri e propri spettacoli per il pubblico, con tanto di cocktails blue ed esecuzioni della sua Symphonie monoton. Così il pittore diceva di poter dipingere pulito, senza sporcarsi di colore neanche la punta delle dita.
In un’altra sua opera performativa famosa, Klein vendeva spazi completamente vuoti in cambio di oro puro. Voleva che le persone sperimentassero la sensazione del vuoto e, secondo lui, solo l’oro poteva ripagare questa esperienza. Oro che poi l’artista buttava nella Senna. Il concetto di “vuoto” affascinava molto il pittore. Lo considerava come uno stato simile al nirvana, senza nulla di materiale, che permetteva alle persone di mettersi in contatto con la propria sensibilità e di vedere la realtà oltre la rappresentazione. Per spiegare questo concetto usò qualsiasi forma artistica togliendo ad esse i contenuti tipici. Realizzò, quindi, dipinti senza immagini, melodie con solo una nota e libri privi di parole.
Consulta il sito Yves Klein.com
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