Il massacro di Scio di Eugéne Delacroix ricorda l’eccidio di circa ventimila greci compiuto nel 1822 dai turchi come rappresaglia per un episodio di insurrezione.
Eugène Delacroix, Il massacro di Scio, circa 1824, olio su tela, 417 x 354 cm. Parigi, Museo del Louvre
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Indice
Descrizione de Il massacro di Scio di Eugéne Delacroix
Gli schiavi greci sono fermi a terra e privi della forza per reagire. L’uomo ferito al centro del dipinto è disteso sul terreno, assistito da una donna e pare in punto di morte. Una donna anziana veglia il cadavere di una compagna di sventura mentre il figlio tenta di succhiare dal seno. Il cavaliere ottomano poi trascina una giovane donna e intanto cerca di neutralizzare quella più anziana che tenta di soccorrere forse la figlia. Verso lo sfondo si intravedono altri schiavi costretti a terra in attesa della deportazione. Il cielo tenebroso sembra sottolineare la drammaticità del momento e una pianura desolata copre il terreno fino all’orizzonte.
Interpretazioni e simbologia de Il massacro di Scio di Eugéne Delacroix
Scènes des massacres de Scio; familles grecques attendent la mort ou l’esclavage è il titolo originale in francese dato al dipinto dall’artista, in occasione del Salon del 1824. In lingua italiana la traduzione è: Scene di massacro a Scio; famiglie greche attendono la morte o la schiavitù.
Nel dipinto non è presente un eroe o un personaggio principale ma il soggetto dell’opera sono gli abitanti di Chio vittime della rappresaglia ottomana. Delacroix scelse di rappresentare immagini di forte impatto visivo per scuotere la coscienza dei contemporanei. La scena infatti presenta esempi drammatici come il greco morente e scene di violenza sulle donne come a destra dove il soldato sembra trascinare una giovane nuda. Ad esaltare la crudeltà degli ottomani sono anche le figure di bambini e neonati abbandonati o in cerca della madre morta. I soldati nel secondo piano sono dipinti come sagome nere senza volto mentre il cavaliere di destra incombe su tutto il gruppo impennando il cavallo.
La repressione ottomana del popolo greco
L’opera di Delacroix si ispira ad un fatto storico conosciuto come il massacro di Chio, avvenuto in Grecia, all’inizio dell’Ottocento.
All’epoca, l’Impero Ottomano dominava sulla popolazione greca che però era intenzionata a riconquistare indipendenza. Gli indipendentisti greci misero così in atto numerose insurrezioni che l’esercito turco represse duramente, causando molti morti. Uno di questi episodi fu proprio il massacro compiuto dagli Ottomani nel 1822 nell’isola di Chio. I soldati dell’Impero Ottomano, per rappresaglia contro la popolazione greca, uccisero circa ventimila persone e deportarono i superstiti costringendoli in schiavitù.
La notizia del genocidio compiuto dagli ottomani a Chio giunse in Europa e suscitò una forte reazione negli ambienti intellettuali romantici, che politicamente sostenevano le aspirazioni indipendentiste del popolo greco. Eugène Delacroix fu tra i più convinti sostenitori della causa greca e decise di denunciare il massacro compiuto dagli ottomani realizzando un grande dipinto.
La documentazione del dramma umano
In questa grande tela Eugéne Delacroix adottò alcune caratteristiche compositive sperimentate dal pittore romantico Théodore Géricault ne La zattera della Medusa. Molto evidenti sono le costruzioni piramidali che rendono slanciati i gruppi di personaggi. Inoltre entrambe i dipinti sono dedicati alla sofferenza umana di persone appartenenti al popolo. Infatti nella tela di Géricault i personaggi sono vittime del naufragio verificato pochi anni prima della realizzazione dell’opera. Si tratta quindi di due tele che documentano tragedie umane contemporanee e lanciano un messaggio di condanna e di soliderietà.
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Eugéne Delacroix dipinse il Massacro di Shio per condannare l’eccidio di circa ventimila greci compiuto dall’esercito ottomano. L’opera di Delacroix è conservata al museo del Louvre di Parigi.
Delacroix presentò il Massacro di Scio al Salon del 25 agosto 1824. Lo Stato Francese, nel 1824, nello stesso anno del Salon, acquistò il dipinto di Delacroix pagandolo 6.000 franchi. L’opera fu quindi destinata alle sale palazzo del Lussemburgo. L’amministrazione dei beni dello stato trasferì poi l’opera, nel novembre del 1874, nella collezione del Museo del Louvre.
L’artista e la società. La storia dell’opera Il massacro di Scio di Eugéne Delacroix
Il pittore francese Eugène Delacroix dipinse Il massacro di Scio nel 1824.
Delacroix per documentarsi opportunamente consultò numerosi testimoni del fatto. L’artista romantico realizzò quindi alcuni disegni preparatori utili alla progettazione del grande dipinto.
Le critiche negative
In occasione dell’esposizione del dipinto al Salon del 1824, la critica ufficiale, di ambiente accademico, commentò negativamente il dipinto di Delacroix. All’artista, infatti, i critici rimproverarono un rozzo trattamento del colore e la mancanza di disegno delle figure. Nel complesso, interpretarono la stesura veloce delle pennellate come un fattore di trascuratezza pittorica. Lo scrittore Stendhal poi condannò il dipinto come mediocre e «sragionevole». Il pittore neoclassico Jean-Auguste-Dominique Ingres, ostile alla pittura romantica e a Delacroix, definì l’opera come «la febbre e l’epilessia dell’arte moderna». Infine Antoine-Jean Gros definì il dipinto «il massacro della pittura».
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Lo stile de Il massacro di Scio di Eugéne Delacroix
Gli esperti della pittura di Delacroix segnalano la presenza del forte realismo della scena e la cura nella riproduzione dei particolari. Questa attenzione unita alla composizione scenica del gruppo crea l’atmosfera drammatica e narrativa che si coglie nel dipinto.
Qualche commentatore ha interpretato la figura dell’anziana donna in primo piano come una rivisitazione delle sibille della Sistina di Michelangelo. Invece le sagome nere dei soldati ricordano quelle dipinte da Goya nei Disastri della guerra come anche l’atmosfera di violenza e di orrore.
La tecnica
Il massacro di Scio di Eugène Delacroix è un dipinto realizzaro a olio su una tela di 417 centimetri di larghezza e 354 cm di altezza.
Il colore e l’illuminazione
L’illuminazione che proviene frontalmente, in primo piano, rivela tutti i personaggi creando poche ombre ed evicenziando i colori. Gli incarnati sono piuttosto scuri tranne quelli di due giovani donne sulla destra. Emergono quindi i tessuti dei poveri abiti che sono resi soprattutto con tonalità di rosso. Invece la donna seduta a terra sulla sinistra indossa un abito blu che equilibra per intensità quello rosso di destra. Le figure dei soldati al centro e di parte del cavallo sono in controluce e le loro sagome scure esaltano i colori del primo piano. Inoltre creano una quinta che incornicia la scena di fondo e invita lo sguardo dell’osservatore in lontananza.
Lo spazio
Il gruppo compatto di prigionieri e il cavaliere ottomano occupano interamente il primo piano. Le schiere di altri prigionieri si sovrappongono poi verso lo sfondo e creano la sensazione di profondità. Lo sviluppo della scena verso lo sfondo è inoltre favorito dalla riduzione delle dimensioni e dai colori più chiari e pallidi.
La composizione e l’inquadratura
La composizione è priva di un centro psicologico, nel quale tradizionalmente era collocato il momento di maggiore intensità della narrazione. Anche il centro prospettico è assente e la struttura si articola intorno alla figura dello schiavo moribondo steso al suolo.
La struttura compositiva della scena è organizzata attraverso gruppi piramidali di personaggi. Le figure degli schiavi formano una massa unica nel primo piano che contribuisce a suggerire il gran numero di prigionieri catturati dagli ottomani.
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Bibliografia
- Gérard-Georges Lemaire, Delacroix, Giunti Editore, Collana: Dossier d’art, 1992 ; 1998, EAN: 9788809761704
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La data dell’ultimo aggiornamento della scheda è: 8 dicembre 2021.
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