Natalina Monteu Saulat, i miei ricordi di adolescente

Natalina Monteu Saulat fu una giovane donna del canavese deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück.

di Marco Rabino

Natalina Monteu Saulat, oltre ad essere stata una giovane donna italiana deportata rappresenta un vivo ricordo familiare, che mi ha accompagnato fin dai tempi dell’infanzia. La sua memoria mi è stata trasmessa dai racconti di mia nonna paterna, Antonia, con la quale passavo molto tempo. Ricordo bene le lunghe passaggiate nel paese e le camminate salendo le mulattiere che portano nei luoghi della sua infanzia, arroccati sulle montagne. Queste salite risvegliavano la sua memoria, e la mia curiosità di bambino, e poi di adolescente, la convinceva a raccontare fatti e dettagli del passato.

Le storie familiari nei ricordi di un adolescente

La mia fantasia si accendeva ascoltando i suoi racconti, che narravano di drammi familiari, spontanei feuilleton, ambientati nelle borgate sperdute ma non dimenticate. Mi raccontava spesso dell’omicidio di suo padre Antonio, un giovane di 21 anni, accoltellato durante la festa del paese. Guardavo la sua foto antica e immaginavo quel giovane ballare quella sera sul prato di fronte alla chiesa, felice perchè appena tornato dal militare. Poi il dramma: ballando, urta il suo migliore amico, litigano, questo tira fuori il coltello e lo ferisce. La mia bisnonna, di appena sedici anni, lascia la figlia di un mese e scende a valle per avvisare il medico. Salgono alle 6 di mattina e mentre il dottore tenta di cucire la ferita, Antonio muore.

La lapide in ricordo di Natalina Monteu Saulat
La lapide in ricordo di Natalina Monteu Saulat

La storia più drammatica, però è quella che riguarda Natalina Monteu Saulat, per me sempre e solo Natalina. Da piccolo cosituiva un appuntamento quasi settimanale, almeno nella bella stagione, la visita alla sua lapide, collocata nell’ossario del cimitero di Pont Canavese. Ricordo il cimitero assolato, l’atmosfera calda e vibrante del sole, che solo nei ricordi di un bambino può essere così assoluto. Il giro dei parenti, i nomi sconosciuti e i volti impressi sulle ceramiche funerarie. Mi fermavo di fronte alle immagini di giovani, tanti giovani, che la guerra e la malattia avevano ucciso prematuramente. Le mie richieste di conoscere le loro storie avevano quasi sempre una risposta, ma quella che più conoscevo era proprio quella di Natalina Monteu Saulat.

Natalina Monteu Saulat, prima musa

Natalina era la cugina di mia nonna, figlia di sua zia materna, Teresa. La immagino fresca e giovane, vestita con un’ampia gonna, che sale e scende le mulattiere, che ride e scherza con le amiche. La sua vita, come quella degli altri adolescenti del paese, non era intristita dalle vicende della guerra. Natalina aveva diciotto anni e frequentava un ragazzo, un orfano che la famiglia di lei aveva adottato, favorita dalle politiche del regime. Potevo immaginare Natalina girare sorridente nella cucina di casa sua quando andavo a trovare sua madre.

Questa zia, al tempo erano tutte zie e zii, la ricordo piccola e minuta, magra e consumata dal tempo, con un fazzoletto nero annodato sulla fronte, in abiti neri. Lasciavo parlare i grandi e cercavo di rubare dettagli per nutrire le mie fantasie. Osservavo le fotografie appese alle pareti, chiedevo, ma le storie erano sempre le stesse.

Le verità nascoste su Natalina Monteu Saulat

La vera storia della sua prigionia rimane un segreto ben riposto. Infatti, Natalina era molto legata a mia nonna, che era anche sua madrina, e solo a lei confessò i fatti della sua deportazione. Come molte altre vittime dei campi, Natalina voleva dimenticare, recuperare la vita che le era stata sottratta. I ricordi però la tormentavano e si confidò diverse volte con mia nonna che ascolto i suoi racconti, ma giurò di non rivelarli mai. Così fece, e nemmeno i suoi figli vennero a conoscenza delle torture subite dalla giovane.

L’unico particolare che trapelò, e giunse fino a me, fu che Natalina Monteu Saulat subì violenze, probabilmente a scopo di ricerca medica. Al suo ritorno la pelle del suo ventre era segnata da diverse cicatrici. Non si riprese mai, e morì il 13 agosto del 1947 dopo un lungo periodo di malattia, curata all’ospedale San Luigi di Torino. Spirò in casa, alla presenza di suo padre Domenico. Anche la verità sull’arresto rimane una questione familiare, forse una storia di invidie tra ragazze, forse un amore conteso. In assenza dei testimoni possiamo solo avanzare delle congetture. Di sicuro, però, la sua vicenda scosse l’intera comunità e di lei si parlò per molti anni ancora.

La sua memoria mi ha seguito da sempre, anche quando, da poco diplomato all’Accademia di Belle Arti di Torino, ho realizzato una serie di ritratti di famiglia. Ho potuto osservare, con attenzione, le immagini che ritraggono giovani comunicande, ragazzi fieri in divisa, bambini ritratti tra i fiori. Proprio Natalina bambina, in abiti da prima comunione, è la protagonista di un disegno che risale ormai a qualche anno fa.

La memoria riscoperta di Natalina Monteu Saulat

Negli ultimi anni, la comunità canavesana si è interessata alla figura di Natalina Monteu Saulat in quanto unica ragazza deportata di Pont Canavese. Marino Tarizzo, appassionato di storia e di attivismo civile, ha deciso di divulgare la drammatica storia di Natalina. Tarizzo, grazie all’aiuto della dottoressa Elena Cigna, consigliera ANED Torino, ha ritrovato la memoria documentaria sulla vicenda che riguarda Natalina. Le informazioni non sono molte, ma grazie all’impegno della dottoressa Cigna è stato rinvenuto il documento che testimonia il trasporto di Natalina a Ravensbrück. Altre, poche informazioni hanno permesso di ricostruire i suoi spostamenti, e dove non si è potuto è intervenuta la narrazione di Marino Tarizzo.

Natalina. Una storia breve, il libro di Marino Tarizzo

Secondo la ricostruzione dell’autore, la deportata fece una prima tappa alle Carceri Nuove di Torino da dove fu poi inviata, quasi sicuramente, a Bolzano. Qui si trovava un campo di polizia e il transito per altri oltre le Alpi. Gli autori non hanno trovato tracce di Natalina nei registri clandestini che oggi si possono consultare. Però, seguendo il destino delle tante giovani e donne che come lei sono giunte a Ravensbrück, la giovane fu di certo fu poi avviata al KL femminile con il trasporto numero 81. Un documento conservato a Varsavia riporta il nome di Natalina, non del tutto preciso, ma con la data nascita e la provenienza corrette.

Qui trovi il libro di Marino Tarizzo

Natalina Monteu Saulat, nacque il 25 dicembre del 1926 nella frazione di Faiallo di Pont Canavese. Tarizzo ha ricostruito puntualmente ogni dato storico concesso dai registri comunali, e quando non ha trovato indizi, ha colmato i vuoti con la sua sensibilità di narratore. Unica discrepanza, rispetto alla memoria familiare, è una sorella, nata morta, Gabriella, sepolta nel piccolo cimitero ottocentesco di Santa Maria in Doblazio. Però, visto la natura dell’evento, la piccola potrebbe non essere stata registrata.

La vita, le fabbriche, le feste la guerra

Marino Tarizzo ha intervallato brani di narrativa riguardanti la vita di Natalina, con frammenti di storia che descrivono con efficacia la realtà sociale e politica del tempo. La crudezza degli eventi supera la nostra immaginazione di contemporanei e la ricostruzione di Tarizzo è un monito che deve essere ascoltato. Le ricerche dell’autore sono anche un’occasione per rispolverare la memoria locale del tempo. Nell’atroce guerra fratricida, che seguì l’armistizio, anche in zona, fece la sua comparsa la Decima Mas. Il 13 dicembre 1943 si instaura a Cuorgnè un comando fascista e i conflitti con i partigiani sono dietro l’angolo.

Del tutto piacevoli, però sono le descrizioni della vita del tempo, il lavoro degli operai della Manifattura e le feste di borgata. La narrazione dell’autore dà vita alla figura di Natalina e ci permette di stringere una connessione empatica con lei. Sicuramente, la sua memoria è stata consegnata alla storia ed è diventata orgoglio per piccolo paese del Canavese.

La Pietra d’inciampo per Natalina Monteu Saulat

Il Comitato per Natalina composto da A.N.P.I., S.O.M.S., Associazione Tellanda e Ij Canteir, con il supporto del dott. Andrea Ripetta del Polo del 900 di Torino, ha ottenuto un importante riconoscimento alla memoria della giovane. Così, il 24 gennaio 2025 è stata dedicata una Pietra d’inciampo a Natalina, posata in viale Ex Internati a Pont Canavese. Alla cerimonia hanno partecipato i parenti ancora in vita, le autorità, Marino Tarizzo, Elena Cigna e un nutrito gruppo di studenti. Se vi capiterà, fate una visita alla memoria di Natalina. Trovate le sue spoglie nel cimitero del paese, nell’ossario all’aperto. Se poi, desiderate fermarvi qualche ora, a Pont Canavese potete visitare i luoghi che rappresentano la memoria del luogo.

Consulta l’articolo Facciata della Chiesa di Santa Maria di Pont Canavese

Stolpersteine, il progetto artistico Pietre d’inciampo di Gunter Demnig

L’artista tedesco Gunter Demnig, ideò in Germania nel 1992, il progetto Stolpersteine che nel tempo si è diffuso in tutta Europa. Si tratta di un piccolo blocco quadrato di pietra di 10 centimetri per 10 centimetri. Sulla lamina di ottone lucido che lo ricopre sono incisi il nome, l’anno di nascita, della persona deportata, il giorno e il luogo di deportazione, e la data della morte, quando conosciuta. In genere la Pietra d’inciampo è collocata davanti alla porta della sua ultima residenza prima dell’arresto.

Il progetto di Gunter Demnig è quello di far inciampare, non fisicamente ma emotivamente, chi cammina per strada. L’intento è quindi quello di invitare i passanti a riflettere sulla tragedia della Shoah e delle deportazioni naziste. Ogni pietra diventa così un monito, un invito a non dimenticare. In genere sono Associazioni o altri enti che richiedono una Pietra d’inciampo al proprio comune, che invierà poi la documentazione all’ente di convalida.

Per maggiori informazioni, visita il sito web del progetto Europeo Pietre d’Inciampo.

La deportazione nel campo di Ravensbrück di Natalina Monteu Saulat

Natalina è stata una delle tante ragazze e donne vittime del campo di concentramento nazista di Ravensbrück, in Germania. Le autorità naziste allestirono il più grande campo di concentramento femminile nel territorio del comune di Ravensbrück. Si trovava nei pressi della località di Fürstenberg, nella provincia del Brandeburgo, a circa 80 chilometri a nord di Berlino. Ravensbrück era il centro di un complesso che comprendeva oltre quaranta sottocampi, maschili e femminili, che fornivano manodopera per le attività del regime. Al termine della guerra si valutò che tra il 1939 e il 1945 nel campo di Ravensbrück furono internati 130.000 deportati, dei quali 110.000 donne. I documenti salvati dalla distruzione riportano le identità di circa 92.000 vittime.

Heinrich Himmler visita il campo di concentramento di Ravensbruck nel gennaio del 1941. Fonte BBC
Heinrich Himmler visita il campo di concentramento di Ravensbruck nel gennaio del 1941. Fonte BBC

Il Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, Il 25 novembre 1938, ordinò di trasferire a Ravensbrück, 500 prigionieri dal campo di concentramento di Sachsenhausen. Iniziarono così i lavori per l’allestimento di un nuovo campo femminile sul terreno di proprietà dello stesso Himmler. Le autorità inaugurarono il campo di Ravensbrück il 15 maggio 1938. A partire da dicembre del 1941 le SS iniziarono ad organizzare quelli definiti trasporti neri. Era il medico eugenista del campo, Friedrich Mennecke che sceglieva le donne da eliminare in altri campi dotati di forni crematori. Si trattava soprattutto di internate deboli e ormai inabili al lavoro.

Gli esperimenti medici criminali

Dal 1942 la Siemens costruì capannoni produttivi nei pressi del campo per utilizzare la manodopera schiava. A questa data le immatricolazioni sono 15.558. La drammatica realtà del campo di Ravensbrück è legata però agli esperimenti medici condotti sulle internate. Il 20 luglio 1942, iniziarono gli esperiementi condotti dal medico delle SS Karl Gebhardt. Con lui operarono l’SS-Obersturmführer Fritz Fischer, i dottori Gerhard Schiedlausky, Richard Trommer, Herta Oberheuser e anche Ludwig Stumpfegger chirurgo personale di Himmler e Hitler.

Ravensbrück fu il principale centro di ricerca medica criminale del Terzo Reich, dove vennero condotte ricerche su problemi medici che riguardavano l’esercito tedesco. I medici sperimentatono con cavie umane dal 5 giugno 1942, in seguito alla morte, il 4 giugno, del capo della sicurezza del Reich, Reinhard Heydric. L’infezione di gangrena gassosa, che causò la morte del generale nazista, era però una comune causa di morte dei soldati, quindi andava indagata. Nell’aprile del 1943 le immartricolazioni salgono a 19.244 prigioniere e viene costruito il forno crematorio.

Guardia femminile del campo di Ravensbrück. Fonte BBC
Guardia femminile del campo di Ravensbrück. Fonte BBC

Le eliminazioni programmate delle donne e degli uomini di Ravensbrück

Nel 1944 le immatricolazioni passeranno da 38.818 in aprile a 91.748 a dicembre. Infatti, a causa dell’arrivo dell’esercito Sovietico, tra il 2 e il 30 agosto furono trasferite molte internate dai campi dell’est, 14.000 solo da Auschwitz-Birkenau. Himmler visitò il campo alla fine del 1944, e si decise di eliminare almeno cinquanta-sessanta donne al giorno, con colpo alla nuca, per accelerare l’evacuazione. All’inizio del 1945 il comandante per aumantare le soppressioni fece allestire una camera a gas azionata a Zyklon B, un gas a base di acido cianidrico. La regolare distruzione dei corpi portò le detenute dal numero di 46.000, a gennaio 1945 a 11.000 in aprile.

Donne al lavoro nel campo di concentramento di Ravensbrück. Fonte Wikipedia
Donne al lavoro nel campo di concentramento di Ravensbrück. Fonte Wikipedia

Le tappe della liberazione

Il 23 aprile 1945, Heinrich Himmler, aiutato dal suo medico il dottor Felix Kersten, tratta con il diplomatico svedese, conte Folke Bernadotte, per liberare di più di 70.000 internati tra i vari lager. 7000 donne di Ravensbrück di varie nazionalità sono libere e la Croce Rossa svedese le mette al sicuro. Il 26 aprile, le SS evacuano le restanti deportate e deportati del campo maschile. Inizia così la marcia della morte verso nord, che costerà la vita a molti di loro. Il 30 aprile 1945 l’esercito sovietico entra nel campo di Ravensbrück e trova 3.000 prigioniere e circa 300 prigionieri, gravemente ammalati e completamente denutriti. Poche ore dopo, i sovietici che avanzano, liberano a Schwerin le sopravvissute alla marcia.

Le donne di Ravensbrück

Nonostante le atrocità subite, all’interno del campo nacque anche un forte spirito di resistenza. Le donne prigioniere si organizzarono in reti di mutuo aiuto, nascondendo cibo, medicine e informazioni. Alcune riuscirono anche a organizzare fughe disperate, mettendo a rischio la propria vita per salvare le compagne. I ricercatori stimano che nel campo di Ravensbrück furono internate almeno 110.000 donne europee.

Il memoriale di Ravensbrück

Dopo la liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa nel 1945, Ravensbrück divenne un luogo della memoria per le future generazioni. Oggi, il sito è stato trasformato in un memoriale.

Consulta il sito del Memoriale di Ravensbrück

Bibliografia

  • Lidia Beccara Rolfi, Anna Maria Bruzzone, Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, Einaudi, 1978, 2003, ISBN 978-88-06-16494-2
  • I. Tibaldi, Compagni di viaggio, Milano, Franco Angeli, 1994
  • Maria Massariello Arata, Il ponte dei corvi. Diario di una deportata a Ravensbrück, Milano, Ugo Mursia Editore, 2005, ISBN 978-88-425-3376-4
  • Rochelle G. Saidel, The Jewish women of Ravensbruck concentration camp, Nachdr., University of Wisconsin Press, 2006, ISBN 978-0-299-19864-0.
  • Wanda Póltawska, E ho paura dei miei sogni. I miei giorni nel lager di Ravensbrück, traduzione di L. Crisanti, Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2010, ISBN 978-88-215-6915-9
  • Sarah Helm, Il cielo sopra l’inferno [If This Is A Woman: Inside Ravensbruck: Hitler’s Concentration Camp for Women], Newton Compton Editori, 2015
  • Gwen Strauss, Le nove donne di Ravensbrück – Il più terribile campo di concentramento femminile, Roma, Newton Compton Editori, 2021, ISBN 978-88-2274-929-1
  • Marino Tarizzo, Natalina. Una storia breve, Editrice Tipografia Baima-Ronchetti, 2025, EAN 9791255570776

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