Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle

Il Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle è la copia di un grande monumento greco di epoca ellenistica.

Apollonio e Taurisco di Tralle, Toro Farnese (Il supplizio di Dirce), II – III sec. d.C., marmo, 3,70 x 2,95 × 3,00 m. Napoli, Museo Archeologico Nazionale

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Indice

Descrizione del Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle

Zeto si trova a sinistra del gruppo se visto in posizione frontale. Il ragazzo cerca di bloccare il toro trattenendolo. Intanto lega i capelli della regina Dirce alle corna dell’animale con una robusta fune. Anche il fratello Anfione a destra cerca di bloccare il toro e rimane insensibile alle suppliche della donna. In basso è poggiata una lira che gli appartiene. La madre dei due ragazzi, Antiope, invece, si trova dietro di loro, in secondo piano e osserva immobile la terribile scena. La donna stringe nella mani un tirso. Anche un pastore e un cane, in basso, sono presenti e guardano verso l’alto.

Interpretazioni e simbologia della scultura Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle

La regina Dirce subisce il supplizio da parte di Anfione e Zeto perché colpevole di aver perseguitato la loro madre Antiope. Dirce viene così legata alle corna di un toro imbizzarrito e il suo corpo viene dilaniato.

La figura di Antiope è interpretata come una baccante e quindi l’opera assume una connotazione dionisiaca sottolineata anche dalla presenza del toro. Questo soggetto compare in molte pitture dell’epoca.

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Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle
Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle

L’originale greco probabilmente era destinato ad essere posto all’aperto. Asinio Pollone importò poi la scultura dall’isola di Rodi per arricchire la sua collezione. Pollone era un senatore romano collezionista e possedeva un gran numero di opere. Operò nel periodo tra Repubblica e Principato. Gli archeologi rinascimentali trovarono la statua nel 1545 presso la palestra delle Terme di Caracalla per conto di Papa Paolo III Farnese. Fu così trasformata in una fontana nel parco di Palazzo Farnese. Giunse poi a Napoli, insieme al resto dell’eredità di re Carlo di Borbone nel 1788. Era in un gruppo di sculture scelte per decorare la villa comunale. Arrivò poi nel 1826 al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

L’artista e la società. La storia dell’opera Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle

Antiope del Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle
Antiope del Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle

Fu Plinio il Vecchio (Nat. hist., XXXVI, 33) a descrivere nei suoi testi la statua e a tramandare il nome dei due scultori. La statua fu presto famosa già nell’antichità. Lo testimoniano infatti alcune altre opere che la riproduco. Una pittura a Pompei raffigura infatti il gruppo dei due artisti. Si ritrova poi su medaglioni e incisa su gemme e su alcune monete prodotte in Lidia verso il 200 d.C. La copia esposta al Museo Archeologico di Napoli fu ritrovata mutilata. Infatti mancavano le due teste principali e la parte superiore del corpo di Dirce. Gli archeologici provvidero poi a ricostruire le parti mancanti. Anche il cane, il pastore e la figura di Antiope risalgono al Cinquecento o al Settecento.

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Lo stile del Toro Farnese

Il Toro Farnese nella sua versione originale fu scolpito dai fratelli Apollonio e Taurisco di Tralle e risale al periodo ellenistico. Fa parte così del periodo tridimensionale della scultura greca. La statua secondo il giudizio degli storici si ispira all’impianto stilistico di sculture del IV secolo a.C. L’opera di Taurisco di Tralle, scultore ellenistico, secondo gli studiosi riprende alcune sculture precedenti. In particolare è conosciuta una versione che decorava forse un ninfeo.

La tecnica

Dirce del Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle
Zeto e Dirce del Toro Farnese di Apollonio e Taurisco di Tralle

Il Toro Farnese è la più grande scultura classica mai ritrovata ed è in marmo. Alcuni storici ipotizzano che l’originale greco fosse una fusione in bronzo e la statua oggi esistente sia una copia di epoca antoniana. Il gruppo in marmo ha un peso di circa 24 tonnellate. Secondo Plinio fu ricavato da un unico blocco e misura 3,70 x 2,95 × 3,00 m. Per questo venne anche definito la “montagna di marmo”. Alcuni storici però non reputano possibile tale affermazione dello storico romano, considerandola un vezzo retorico.

La luce sulla scultura

Il gruppo è particolarmente elaborato e la luce ambientale colpendo le figure rivela le forme anatomiche possenti. Infatti la descrizione dei particolari e l’articolazione delle forme risultano molto evidenti anche se la superficie è chiara. Nei panneggi dei mantelli, nelle tuniche delle donne e in alcune parti del toro le fitte pieghe creano profondi solchi scuri e accentuano il chiaroscuro.

Rapporto con lo spazio

Il grande gruppo scultoreo è monumentale perché visto dal basso. I personaggi inoltre sono a tutto tondo e la loro articolazione favorisce la vista da ogni lato. La prospettiva frontale è comunque quella che garantisce la migliore comprensione della scena.

La struttura

Le figure risultano concepite in modo autonomo e possono essere apprezzate singolarmente. La progettazione del gruppo permette così di considerarlo nel complesso senza che la forte presenza di ogni personaggio disturbi l’equilibrio d’insieme. Frontalmente, il centro della composizione è il groviglio di braccia dei personaggi e delle gambe anteriori del toro che esprimo la tensione del tragico momento.

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La data dell’ultimo aggiornamento della scheda è: 11 maggio 2021.

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